24 Ott Roberto
Funesto Festival è un’occasione rara per affrontare collettivamente il tema della morte, qualcosa che spesso evitiamo di discutere. Abbiamo selezionato una serie di parole che potessero facilitare un dialogo aperto, personale e intimo su questo tema. Le abbiamo stampate su delle carte e abbiamo iniziato a incontrare alcuni soci e amici di Sguazzi pronti a condividere i loro pensieri. Ogni incontro è stato profondamente unico. Ciascun dialogo si è trasformato in un breve racconto e in un ritratto fotografico, offrendo uno spazio per aprire un confronto sincero su ciò che spesso rimane nascosto.
Roberto
Roberto ha scelto come prima parola paura. Racconta di un incontro recente, dove un conoscente gli ha confidato: “Io ho paura di morire”. Di fronte alla sua reazione, l’uomo ha chiesto: “Ma tu non ne hai?”. Roberto ci riflette, però non è sicuro di avere una risposta chiara. Non si fa un’angoscia di quel pensiero. “Quando arriverà”, dice, “non me ne accorgerò. Sarà un problema per altri”. La morte, per lui, non è un evento che genera preoccupazione. “Quando finirà, finirà”, conclude, con una serenità che nasce dall’accettazione dell’inevitabile.
Per Roberto, ciò che conta è la vita. “Bisogna preoccuparsi della vita fino alla fine”, dice con convinzione. Ogni istante è importante, anche gli ultimi. Fa riferimento al testamento biologico, le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), che permettono di pensare in anticipo a come prendersi cura di sé fino all’ultimo. “È anche attraverso le DAT che possiamo riflettere su come potrebbero essere gli ultimi istanti della nostra vita”, sottolinea. “Ogni minuto ha valore”, afferma. Quando ci avviciniamo alla fine, ogni attimo ha significato. Per lui, la morte degli altri è un’esperienza che tocca in prima persona, lasciando un segno profondo, ma è anche un invito a riflettere sulla propria vita e sul suo significato complessivo.
La morte porta con sé dolore, un dolore che nasce dalla fine delle relazioni. “La morte crea un ostacolo”, dice, “e cambia la vita di chi resta”. Tuttavia, Roberto non vede il dolore come qualcosa di insormontabile. “Non ci sono traumi che non si possono superare”, aggiunge. “La vita è talmente forte che va avanti comunque”. Anche se il dolore segna, non può bloccare il flusso della vita. Il dolore va accolto, accettato, senza cercare di evitarlo. Quando parla dell’aldilà, Roberto si definisce credente, ma è consapevole che la fede non offre certezze assolute. “Non ti dà delle garanzie”, dice con tranquillità. La sua è una fede che riconosce i limiti della comprensione umana. “La morte rende tutto relativo” pone un limite e lascia che una parte di esistenza non possa essere veramente compreso.
Infine, Roberto riflette sulla scelta. Uno degli slogan dei precedenti festival di Sguazzi, la vita va fatta a pezzi, gli torna alla mente. “La vita è fatta di piccoli passi”, dice, “e ogni passo ha valore”. Non si tratta di afferrare tutto l’insieme, ma di dare senso a ogni frammento. È un invito a vivere pienamente ogni singolo “pezzo”, senza cercare esclusivamente il senso di tutto. Roberto cita Camus: “Bisogna immaginare Sisifo felice”, perché c’è un valore nel continuare a spingere il sasso, anche se sappiamo che tutto finisce.
Roberto riprende la parola paura e aggiunge coraggio e tabù: la paura della morte è qualcosa di cui non ci si libera, ma che si affronta con coraggio. “Non si tratta di eliminare la paura”, dice “ma di accettarla, di farci i conti”. È un tabù che continua a esistere, però forse ciò che possiamo trarre di positivo dalla morte è proprio la riflessione sulla finitezza, che non riguarda solo la nostra vita, ma anche le cose che costruiamo insieme e che meritano quindi di averne cura fino alla fine.
Roberto è uno dei soci fondatori di Sguazzi. Ha ricoperto il ruolo di presidente per sei anni e attualmente fa parte del direttivo, così come in diverse altre occasioni nel passato. È stato responsabile del progetto Ramidimani, che si occupava della gestione e valorizzazione del Bosco Dell’Itala a Osio Sotto.