I “Macabri” del Bonomini: arte, poesia e musica nella chiesa di Santa Grata

Nella raccolta penombra della Chiesa di Santa Grata Inter Vites un pubblico numeroso e attento ha potuto vivere un dialogo speciale tra arte, poesia e musica, dedicato alle straordinarie opere di Paolo Vincenzo Bonomini (Bergamo 1757-1839).  “I Macabri”, sei dipinti a tempera (1797-1802) che ritraggono scheletri viventi, sono nati dall’immaginazione del pittore bergamasco per ornare l’apparato funebre che ogni anno a Novembre veniva allestito nella chiesa del suo Borgo natale in occasione del Triduo dei morti. Oltre al loro significato funerario, queste opere parlano della vita quotidiana, mescolando realismo e ironia: gli scheletri indossano abiti del tempo e ritraggono figure reali del borgo natale del pittore, mentre le loro espressioni e posture rivelano un’intima umanità, nonostante l’assenza di carne e muscoli.

Lo storico dell’arte Enrico De Pascale, dall’alto di una scala posta dietro l’altare maggiore, ha svelato la storia e i dettagli più nascosti del ciclo con una narrazione appassionata e avvolgente. Ha guidato lo sguardo dei presenti verso particolari che spesso sfuggono a un’osservazione superficiale e contestualizzato la figura di Bonomini, affermatosi in vita per i numerosissimi cicli decorativi profani realizzati in Palazzi e Ville della Bergamasca ma divenuto celebre solo da morto per il ciclo dei “Macabri”, che negli ultimi cento anni ha guadagnato notorietà e consensi in innumerevoli mostre, da Firenze a Roma, da Milano a Londra. [Scarica l’articolo di ArteDossier]

A impreziosire l’atmosfera, la poetessa Candelaria Romero ha condiviso poesie che, come le opere di Bonomini, affrontano il tema della morte intrecciandolo a quello della vita. Le sue parole, intense e dirette, hanno dato voce a emozioni universali:

da “Salto mortale”

Vorrei fare

am
blin
blone
goccia di limone, goccia d’arancia, o che mal di pancia

una conta
per capire
per decidere
in che mondo stare.

da “Poesie di fine mondo”
a mio marito

Quando parli della morte
di che morte parli?
della morte dell’amore
della fame di che fame di cosa?
del freddo nelle ossa nel cuore?
dell’esplosione nel ventre del nero della gola?
del rosso del dente?
e poi dove sei che non ci sei mentre muoio?
e poi
quando parli
se mi parli
cerca di respirare lentamente e poi
muori per favore
assieme a me.

L’accompagnamento musicale di Pietro Buratti, con brani d’organo che alternavano toni solenni e moderni, ha completato l’esperienza. Molti tra il pubblico hanno chiuso gli occhi, lasciandosi trasportare dalle note, mentre altri, con lo sguardo ai dipinti, sembravano intenti a tessere un dialogo immaginario con le figure scheletriche.

Quella sera, “I Macabri” non erano solo quadri: erano specchi che riflettevano il nostro rapporto con la mortalità, opere capaci di sfidare lo spettatore a trovare una nuova intimità con il mistero della vita e della morte. Un’esperienza che non si è limitata a essere contemplativa, ma ha coinvolto corpo e mente, lasciando la possibilità di sentire emozioni diverse, ma vitali.

da “Abitare”

Abitare la musica e il panico
abitare la distanza e il vuoto
quel che c’è tra un canto e l’altra voce
far entrare la morte che bussa alla porta
salutarla e lasciarci abitare da lei
e dalla mano suicida
e dalla morte di amici poeti
e non chiudere la porta
salutare di nuovo la morte
due volte ora sono
avvicinarsi a lei in punta di piedi
seduta sta in un angolo del nostro piccolo mondo
le si schiudono le ciglia lunghissime
con dita d’acqua tracciamo ali sulle sue guance
sussurriamo parole
cantiamo canzoni lunghe e senza virgole
guardiamo i figli che muovono la terra
e stanchi andiamo a dormire
stretti a chi ci culla la notte
e pensiamo ancora alla morte
tre volte ora sono
è ospite amica che ogni cosa avvolge
senza chiedere permesso
preannuncia la nascita e racconta la vita
il suo eco abita la nostra dimora
impariamo nel tempo a tenere aperta la porta
abitare la neve il torrente
il bosco fuori dal petto
impariamo a portare a passeggio la morte.
Raggiungiamo un prato ci sdraiamo
o forse giochiamo o danziamo
mentre la morte
ormai amica
sorride e ci guarda ballare
e batte il tempo con le mani.