Segno indelebile: Mario Benedetti, il nero e il gesto dell’arte

La mattina del 1° dicembre, lo studio di Mario Benedetti si è trasformato in un microcosmo di racconti, riflessioni e arte viva. Tra le pareti di via dei Cabrini, a Bergamo, lo spazio che lartista condivide con sua moglie Zlata Maltarić ha accolto il pubblico di Funesto Festival in unatmosfera intima e familiare, dove il tempo sembrava dilatarsi e le opere prendevano vita attraverso le parole dellartista.

Non amo parlare,” ha esordito Benedetti con un sorriso, lasciando intendere che il compito di condurre la conversazione spettava a Enrico De Pascale, storico dellarte e suo interlocutore per lincontro. Tuttavia, ben presto, lartista si è lasciato coinvolgere, regalando al pubblico aneddoti, pensieri e dettagli sulla sua poetica. I ricordi e gli spunti di Zlata, compagna di vita e di stampe, hanno arricchito il racconto, riportando alla memoria episodi chiave di un percorso artistico e umano condiviso.

Tra i temi centrali, il nero ha assunto un ruolo dominante. Dal nero voglio arrivare alla luce. Non è buio, ma splendore e profondità: una materia che invita a cercare oltre,” ha spiegato Benedetti. Il nero, per lui, non è solo assenza di colore, ma uno strumento che esalta la luce e crea contrasti che catturano lo sguardo. Il bianco mi invita, ma è il nero che mi spinge. È lelemento con cui sottolineo ciò che ho in mente.”

Il rapporto con la materia emerge come un elemento fondamentale del suo lavoro. Benedetti lavora anche stratificando fino a sette diverse tonalità di nero, in un dialogo intimo e fisico con la tela. Mi infastidisce vedere altri quadri mentre dipingo,” ha confessato. Per questo li tengo sempre coperti: è un modo per concentrarmi, per restare nel qui e ora del gesto.” Tuttavia, la sua arte parte sempre da un punto concreto. Ancorarsi a un paesaggio, a un ricordo, a unimmagine: è una buona abitudine. Io parto sempre da lì.”

La sua affermazione, Ho un bellissimo rapporto con i colori, ma non li utilizzo,” ha suscitato un sorriso tra il pubblico, rivelando lironia e la coerenza del suo approccio. Tra i racconti, Benedetti ha condiviso episodi curiosi, come i due furti subiti nella sua casa, in cui, fortunatamente, i ladri avevano ignorato i quadri.

Lo studio di Benedetti non è solo un luogo di lavoro, ma un rifugio dove arte e vita si intrecciano. Tavoli e poltrone portano i segni di conversazioni passate, mentre grandi tele convivono con piccoli bozzetti e materiali pronti a trasformarsi in nuove opere. Durante lincontro, un breve video di Edoardo Conte ha immerso il pubblico nelluniverso dellartista, fatto di gesti lenti e di esplorazioni profonde.

Benedetti ha concluso con una riflessione sulla calcografia e sul valore dellerrore: Amo limprevisto. È il momento in cui lopera ti sorprende e diventa altro. La calcografia richiede ostinazione: non è una tecnica semplice, ma è per questo che la amo. Ogni segno, ogni morsura racconta una storia.”

Lincontro, perfettamente in linea con il tema di Funesto Festival, ha offerto una riflessione poetica e viscerale sul rapporto tra vita e morte, tra luce e buio. Per Benedetti, il nero è il mezzo attraverso cui la luce diventa visibile, la materia che rivela lessenza profonda delle cose. Allo stesso modo, il festival esplora il tabù della morte per illuminare i significati più autentici della vita.